SOS SIRIOS: LA GROTTA DELLE ANFORE,
UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL TEMPO
Nei Supramontes, ubicati nella Sardegna centro orientale, esistono numerose grotte utilizzate dalle antiche popolazioni della Sardegna come sepolture o santuari per compiere riti legati a culti di cui possiamo solo ipotizzarne la funzione. Nel Supramonte di Dorgali esistono eccezionali esempi come nella Grotta del Bue Marino con le sue incisioni rupestri e la Grotta delle Anfore, conosciuta anche come Gotta Sos Sirios.
Raggiungere quest’ultima è come compiere un viaggio nel passato, attraversando antichi insediamenti di caprai con le loro svettanti capanne o camminando sulle antiche carrarecce e mulattiere dei carbonai dell’800. Tutto il territorio racconta di un passato dove l’uomo viveva immerso nella natura, celebrandone la sua sacralità. La Grotta delle Anfore è ubicata in un punto difficile da individuare e immerso in uno scenario realmente selvaggio; alla fine degli anni 50, al suo interno gli speleologi vi rinvennero ben novanta anfore, risalenti all’età del bronzo, all’epoca romana e fino al medioevo, in seguito in gran parte scomparse o distrutte. Rimane il grande mistero sull’utilizzo di queste anfore, all’apparenza collocate all’interno della grotta per raccogliere l’acqua di stillicidio, ma il loro grande numero fa supporre che vi venissero celebrati anche culti legati alla divinità Acqua e alla Fertilità, molto diffusi in tutta la Sardegna. Un immenso e insolito Santuario degli antenati dei sardi.
Notizie. Con l’escursione proposta si accederà ad una zona tra le più belle di tutto il Supramonte. Questo è un vasto altipiano carsico di oltre 400 kmq della Sardegna centro-orientale, completamente disabitato, con splendide montagne, profondi canaloni ed eccezionali foreste secolari di leccio. Il percorso per raggiungere la Grotta è come compiere un appassionante viaggio nel passato; tutto il territorio attraversato trasmette la viva emozione di penetrare i secoli passati.
L’avvicinamento in macchina inizia dal villaggio di Cala Gonone, frazione di Dorgali. Abbandonata la provinciale che collega i due centri urbani, si percorre una stretta strada cementata, a tratti sterrata, che costeggia la profonda Codula Fuili e procede verso l’interno del Supramonte. Una deviazione porta ad affrontare una ripida rampa che, superato un valico (Ghenna ‘e Sue, il passo della scrofa…), immette nel versante est del Supramonte con una vista panoramica sul Golfo di Orosei. Dopo pochi chilometri si raggiungono le località di Ghiroe Majore e Buchi Arta; qui veniamo accolti da maestose e svettanti vecchie costruzioni in pietra e legno. Sono i Pinnettos, che ricordano da vicino le millenarie capanne nuragiche dell’età del bronzo. Si proseguirà a piedi inizialmente su tracce di animali per poi immettersi su un’antica carrareccia di carbonai. La carrareccia, dopo aver superato alcuni ombrosi Ghiroes (sono valloni con il fondo di ghiaino calcareo, caratterizzati da lecci secolari sopravvissuti al taglio e alla carbonificazione), termina improvvisamente sul ripido bordo di una vasta e malagevole pietraia con una vista aerea, vertiginosa, che toglie il fiato, sulla Codula Ilune. Appariranno boschi, pareti inaccessibili, selvaggi canaloni che incidono violentemente i bianchi calcari. Senza alcuna traccia di sentiero si scende lungo la ripida pietraia, interrotta talvolta da lisce placche di calcare che emergono dallo sfasciume. In seguito, raggiunta la base di un’alta falesia, occorre seguirla verso est, inerpicandosi su una vecchia traccia di sentiero. Esso porta in caverna dove sono visibili frammenti di terracotta, resti di macine in trachite vulcanica, lisce pietre di granito utilizzate per chissà quali arcaiche lavorazioni. Tutto fa pensare ad un insediamento umano protrattosi nel tempo per parecchi secoli, forse per migliaia di anni. Da questo punto si segue il filo della base dell’incombente falesia che in breve conduce in un’aerea cengia, non sempre facile da percorrere. Talvolta la roccia è estremamente levigata dal passaggio di migliaia di mani e piedi lungo l’arco di almeno tre millenni. A lato del percorso si aprono alcune piccole cavità, anch’esse con il pavimento ricoperto di resti archeologici. In corrispondenza di un tratto in piano, la cengia termina improvvisamente proprio in corrispondenza dell’ingresso della Grotta delle Anfore.
All’interno, la vastità dell’ambiente e le sue innumerevoli gigantesche concrezioni evocano uno scenario di arcaica sacralità, un santuario che pretende silenzio e rispetto. In uno sperduto angolo si trovano due anfore inglobate nelle concrezioni, le stalattiti ci sono cresciute persino dentro; chi le ha messe lo ha fatto per raccogliere l’acqua di stillicidio, rompendone la parte sommitale per trasformarle in larghi vasi e raccogliere ancora più acqua. Ma qua e là lungo una fila di piccole stalagmiti, occhieggiano sommerse dalla calcite i resti di numerose anfore, poggiate per raccogliere incessantemente l’acqua di stillicidio.
Su un punto sopraelevato giace un riconoscibile grosso recipiente di terracotta, oramai inglobato dal carbonato di calcio, apparentemente integro; una impugnatura a “M” in rilievo, spunta dalla coltre bianca; trattasi di una grossa anfora di epoca romana o medievale. Dappertutto, nel nero della fuliggine, spuntano le tracce ancora visibili di una frequentazione plurimillenaria, dal nuragico fino al medioevo.
Informazioni Generali
Di cosa si tratta: un viaggio avventuroso alla scoperta dei riti di una Sardegna arcaica, che si snoderà lungo le località più belle del Supramonte Orientale.
I mezzi di trasporto: avvicinamento con fuoristrada Land Rover ad otto posti.
Le strade: parte asfaltate e parte in sterrato.
La durata: dalle 8,30 del mattino alle 16,30.
Quanto si cammina: complessivamente circa 3 ore tra andata e ritorno su carrarecce, sentieri e tracce di sentiero.
Cosa mettere: scarpe da trekking e abiti adatti alla stagione (maniche e calzoni lunghi).
Cosa portare: almeno due litri d’acqua a testa. Pranzo leggero al sacco.
Difficoltà: escursione adatta a persone amanti dell’avventura e non in sovrappeso.